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MUSEO D'ARTE SACRA “Basilica Maria SS. Assunta”

 
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MUSEO D'ARTE SACRA “Basilica Maria SS. Assunta”

La raccolta museale era stata iniziata dal benemerito arciprete, mons. Vincenzo Regina, che già negli anni ’80 si era adoperato per la costituzione di un museo in chiesa madre, pubblicando un volume “Il museo d’arte sacra nella sua interpretazione storica, teologica ed ecclesiologica” con prefazione (da me sollecitata perché amico) del grande dantista Sua Eccellenza mons. Giovanni Fallani, presidente della Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia e della Commissione permanente per la tutela dei monumenti storici ed artistici della Santa Sede.
Il museo d’arte sacra non è, e non deve essere, un deposito culturale di oggetti, perché essi, nati per un ufficio sacro, sono una esposizione di simbologie e una catechesi liturgica.
Le singole opere d’arte non vanno disgiunte dalle particolari circostanze della vita spirituale del committente o della “pietas popolare”, perché sono l’antica testimonianza di fede e di devozione della comunità ecclesiale di Alcamo, che investe un arco cronologico molto ampio, che va dal XIII al XX secolo.
Mons. D. Antonino Treppiedi, sacerdote colto, intelligente ed operoso, in diciotto mesi di arcipretura  di Alcamo, in un momento piuttosto difficile per l’aspetto finanziario, nel solco di una tradizione siciliana, ormai consolidata, che ha trovato largo riscontro negli studiosi locali e in Sua Eccellenza mons. Francesco Miccichè, vescovo di Trapani, tra le tante priorità da portare avanti ha voluto dare dignità alla chiesa madre (nella ricorrenza dei suoi quarant’anni di elevazione a basilica) restaurando ed abbellendo non solo il sacro tempio, ma anche dotando lo stesso di un qualificato museo d’arte sacra, che ne evidenziasse, con le numerose opere esposte, non solo i caratteri stilistici, ma anche le motivazioni dell’ufficio di culto e la generosità dei fedeli nel sostenere le commissioni di realizzazione.
Mons. Treppiedi, per l’allestimento scientifico della nuova sede museale, si è servito della  consulenza tecnica dei professori Maria Concetta Di Natale e Maurizio Vitella e degli architetti Pietro Artale e Mauro Calamia, riaffermando la centralità della ricerca, preliminare ad ogni attività di tutela e di fruizione.
Il museo di arte sacra della basilica “Maria SS. Assunta” si trova nel cuore del centro storico di Alcamo e nasce con l’intento di valorizzare un patrimonio storico ed artistico di notevole interesse proveniente non solo dai depositi della stessa, ma anche da chiese, conventi e monasteri soppressi dalle leggi eversive del 1866.
Il museo di arte sacra si sviluppa tutto sul piano terra, dove sono esposti i dipinti, le sculture, gli argenti (calici, pissidi, ostensori, reliquari, vassoi, incensieri, navette, acquamanili, brocche, pastorali, candelabri, corone, campanelli, carteglorie, crocifissi, teche, vasi), messali, antifonari, presepi, ceroplastiche, sacri paramenti (pianete, tunicelle, stoloni, veli omerali, piviali).
Centocinquanta preziose opere sono esposte nel museo d’arte sacra della Basilica Maria SS. Assunta di Alcamo, che si potrà visitare dalle 10:00 alle 12:30 e dalle 16:30 alle 19:30.
Quattrocento metri quadri, cinque sale tematiche che guidano il visitatore negli ambienti dove la devozione si fa arte.
L’ingresso al museo è segnato nel recuperato portale dell’ex Oratorio del Santissimo Sacramento, che come in una nicchia, conserva un Crocifisso in mistura di gesso, paglia, stoffa e con il Santo volto, mani e piedi in legno. Donato a questa basilica dall’arciprete D. Erasmo Cremona, della prima metà del Settecento, è stato restaurato da Mariella Alcamo.
Tra i preziosi monili del tesoro della Madonna dei Miracoli, destano particolare interesse, quelli donati dal munifico Barone Felice Pastore, racchiusi in un simbolico cuscinetto, di velluto rosso, a forma di cuore che mette insieme cinque bracciali, cinque spille, quattro coppie di orecchini, una catena, un orecchino singolo, tutti in oro, smalti e pasta vitrea.
Il percorso espositivo all’interno dei singoli saloni, tranne qualche eccezione, è studiato secondo un criterio rigorosamente cronologico, ed è stato inteso e sviluppato come elemento che qualifica il senso specifico dell’esperienza museale, caratterizza le sue finalità espositive e consente simultaneamente, la più completa lettura spaziale sia del “contenitore” che delle complesse relazioni estetiche, percettive e simboliche, che si instaurano tra le opere e gli oggetti dell’arredo sacro. Nella prima sala sono esposte: una preziosa croce dipinta, del sec. XIV, di ignoto (con il crocifisso al centro, dal cui costato, fluisce un abbondante fiotto di sangue, in alto il pellicano, simbolo del Redentore, in procinto di squarciarsi il petto per nutrire con il suo sangue i suoi piccoli; in basso il teschio, segno della morte vinta da Cristo con la sua risurrezione; a destra S. Giovanni Evangelista, a sinistra l’Addolorata, impietrita dal dolore). Seguono un affresco di un santo monaco carmelitano di anonimo, della chiesa dell’Annunziata; due tunicelle di tessuto spagnoleggiante di colore verde, del XVIII secolo; la tela della Madonna Incoronata con i SS. Vito e Bartolomeo (A.1612) di Gaspare Vazzano o Zoppo di Ganci; la tela della Madonna del Rosario con S. Francesco, S. Domenico, S. Tommaso d’Aquino, S. Francesco di Paola, del XVI secolo, attribuita a Vincenzo di Pavia; la tela di S. Giuda Taddeo, di Giuseppe Renda (sec. XVIII); la statua lignea di S. Leonardo, di anonimo, del sec. XVI; il simulacro ligneo di S. Rocco, di ignoto, del sec. XVI; la statua lignea di S. Sebastiano, di anonimo, sec. XVII; la tela ovale di S. Castrenze, di Filippo Randazzo, del sec. XVIII; il reliquiario ligneo con dipinto il Cristo risorto e San Gaetano e le reliquie dei 12 apostoli, di anonimo, del sec. XVIII. Un artistico comunichino monastico in legno dorato e la classica grata in ferro dorato del sec. XVII; tre grandi antifonari, di formato cm. 50 x 40 in pergamena miniata, del 1512. La pagina d’apertura del primo volume, presenta una preziosa cornice con elementi fitomorfi, i quali intrecciano candelabri e cornucopie, simboli dell’ubertosità dell’agro dell’opulenta città di Alcamo. L’iniziale dell’antifona Rex, circoscritta in un quadrato, sostanziato da smaglianti colori di rubino e d’oro liquido, raffigura nell’ansa superiore l’Eterno Padre in gloria e nell’ansa inferiore la classica scena della Natività con Giuseppe e Maria, adoranti il Bambino. Seguono ancora due artistici reliquiari con piede in rame del sec. XVI e con raggera e mezzobusto in argento del sec. XVIII, raffiguranti S. Castrenze e S. Stanislao Kostka. Su un palchetto, fa bella mostra di sé un’artistica portantina, in legno dorato, o sedia portatile per il SS. mo Viatico, in tardo barocchetto con novità neoclassiche e dipinti con soggetti simbolici ai lati, attribuibili a Vito D’Anna (sec. XVIII).
Segue un salone di effigi mariane, delle più belle Madonne venerate in Alcamo sotto diversi titoli: Cuore di Maria e di Gesù, di Giuseppe Renda (se. XVIII); tela ovale della Madonna dei Miracoli, di anonimo, del sec. XVIII; tela ovale dell’Addolorata, di Filippo Randazzo (Monocolo di Nicosia), del 1735. Sempre in questo salone, troneggia sulla parete di fondo, l’interessante tela monocroma raffigurante il ritrovamento della sacra immagine della Madonna dei Miracoli e i prodigi da Essa operati. Si tratta di una tempera a monocromo di un colore bruno-seppia, vivificata da tratti di carboncino e da tocchi di biacca, dipinta dall’umanista pittore Sebastiano Bagolino, nel 1597, cinquant’anni dopo il miracoloso avvenimento, il cui ricordo era ancora vivo nel cuore degli alcamesi.
In questa sala sono esposti, dentro apposite vetrine gli argenti dell’arredo liturgico e alcuni gioielli ex voto di maestranze siciliane del sec. XVIII e XIX. Gli arredi preziosi della chiesa madre di Alcamo costituiscono un patrimonio di manufatti, eseguiti in un arco di tempo che va dal XVI al XX secolo. Essi rappresentano la testimonianza tangibile della devozione e del sentimento religioso degli Alcamesi e contemporaneamente i lusinghieri esempi dell’antica produzione argentaria palermitana e trapanese.
Ma prima di esaminare dal punto di vista stilistico queste opere è opportuno procedere alla lettura delle carte d’archivio; va subito precisato però che non abbiamo alcun contratto né registrazioni contabili in grado di fornirci nomi di argentieri e date di esecuzione delle opere, tranne di una custodia del SS. Sacramento, oggi non più esistente, attribuita a Paolo Saltarello, e di una lampada d’argento del 1766 di Andrea Porzio.
Molto interessanti si rivelano, per quel che concerne la cronologia delle opere giunteci, due inventari nei cui elenchi è possibile riconoscere diversi manufatti ancora conservati nella chiesa. La carenza di documenti fa credere che parte del patrimonio in questione si sia formato attraverso donazioni di confraternite o di privati. E’ il caso di ricordare la munificenza degli arcipreti Stefano Fraccia, Stefano La Rocca, Benedetto Mangione, Stefano Triolo Grifi, Giuseppe Virgilio.

Prof. Roberto Calia

Localita' Alcamo

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